Napoli, due epoche, due volti.
Il primo che ho letto in questi giorni, è un libro abbastanza "famoso" a cui ho sempre opposto resistenza:
"Il mare non bagna Napoli" di Annamaria Ortese; una Napoli post bellica, un pezzo di storia reale, quel pezzetto di civiltà che ha permesso a noi di essere diventati quello che siamo.
A volte nascono pregiudizi a caso, senza logica, come i miei quando rimando qualcosa. O forse temevo di entrare in storie troppo dolorose in giorni in cui l'animo in festa deve star leggero.
E invece, come accade spesso, mi sbagliavo, perché nulla fa più male finché non viene conosciuto.
Questo libro mi è apparso troppe volte sotto agli occhi, come a volermi lanciare un grido "hey, queste parole, il mondo scritto qui dentro è qui affinché anche tu possa entrarci".
Solo due brevi note che non riassumono la ricchezza del contenuto, ma solo due brevi passaggi che ne richiamano il senso. Buona pasquetta.
"Non occorreva molto per capire che qui gli affetti erano stati un culto, e proprio per questa ragione erano decaduti in vizio e follìa; infine, una razza svuotata di ogni logica e raziocinio, s'era aggrappata a questo tumulto informe di sentimenti, e l'uomo era adesso ombra, debolezza, nevrastenia, rassegnata paura e impudente allegrezza. Una miseria senza più forma, silenziosa come un ragno, disfaceva e rinnovava a modo
Straordinario era pensare come, in luogo di diminuire o arrestarsi, la popolazione cresceva, ed estendendosi, sempre più esangue, confondeva terribilmente le idee all'Amministrazione pubblica, mentre gonfiava di strano orgoglio e di più strane speranze il cuore degli ecclesiastici. Qui, il mare non bagnava Napoli. Ero sicura che nessuna lo avesse visto, o lo ricordava. In questa fossa oscurissima, non brillava che il fuoco del sesso, sotto il cielo nero del sovrannaturale."
